Autorità civili e militari, signori Sindaci, monsignor Clementi, carissime Fiamme Verdi, cari ragazzi;
è con grande emozione che mi rivolgo a voi tutti per celebrare l’anniversario di eventi ormai lontani nel tempo, ma sempre presenti nel mio cuore.
Settanta anni sono tanti, sono una vita. E ben pochi tra i protagonisti di allora sono qui, forse alcuni dei più giovani, quelli che non avevano ancora venti anni e che sono divenuti adulti in fretta, con una scelta coraggiosa che ha segnato la loro esistenza.
Per questo quando Alvaro Peli, figlio di un partigiano, mi ha chiesto di tenere il discorso ufficiale, in quanto figlia del ” Capitano Sandro” – il nome di battaglia di mio padre – sono stata ben felice di accettare. Grande è per me la gioia di essere qui, in un luogo che ricordo ogni giorno, dovunque mi trovi, perché’ mi apporta un senso di calore, di fraternità, di sicurezza. Il Mortirolo e la Valle Camonica hanno permesso a mio padre di continuare ad essere un uomo libero e di combattere per la sua libertà e, assieme a suo fratello Luigi e ai suoi compagni partigiani, per la libertà e l’onore del nostro paese.
Ho scelto di rivolgermi oggi innanzi tutto ai giovani e agli adolescenti degli anni duemila per parlare loro delle Fiamme Verdi perché devono sapere che la pace ma soprattutto la libertà di cui godiamo è stata conquistata con fatica e grandi sacrifici anche su queste montagne.
Cosa sono, cosa sono state e cosa hanno fatto le Fiamme Verdi?
Le Fiamme Verdi nascono anzitutto come movimento di resistenza contro lo straniero, il tedesco, che ci aveva invaso e che con la sua violenza ci voleva sottomettere e fare suoi schiavi e poi contro altri italiani, i fascisti, che ne avevano sposato la folle ideologia.
E’ un movimento eterogeneo, ma unito nella volontà e comprende soldati, in maggioranza alpini, con grande esperienza di guerra, ma anche intellettuali, operai, contadini, perseguitati politici e razziali.
E’ un movimento di popolo, di donne e di uomini, di giovani e di vecchi, di italiani e anche di stranieri che lottano per la loro libertà.
E’ un movimento apartitico ma è un movimento politico perché assieme alla libertà vuole una maggiore giustizia sociale, tutela dei lavoratori, istruzione.
E’ di ispirazione cattolica, ma non tutti i componenti lo sono. Sacerdoti illuminati ne fanno parte, la loro opera caritatevole e coraggiosa e intelligente è di aiuto e sostegno e direzione per chi si trova nel bisogno. Pagano anche con la prigione, come don Carlo Commensoli, o spesso con la vita la loro scelta.
Le Fiamme Verdi combattono i nazifascisti per oltre venti mesi e affrontano problemi di ogni genere: devono procurarsi ricoveri, cibo, armi. Per loro il rispetto e la difesa della popolazione civile sono fondamentali, preferiscono spostarsi spesso e rinunciano ad azioni quando il rischio di ritorsioni per civili e paesi è troppo alto.
Acquistano e pagano il loro cibo oppure rilasciano ricevute che vengono poi onorate.
Ma le armi no, non le acquistano. Devono conquistarsele, ciascuno deve conquistarsele.
Per questo dalle prime settimane dell’autunno del 1943 effettuano azioni di ogni tipo, spesso pericolose, quali requisizioni di armerie e depositi militari, l’assalto al treno proveniente da Edolo e al presidio GNR di Bienno in cui in pieno giorno il capitano Sandro e sei partigiani travestiti da tedeschi catturano senza sparare un solo colpo 21 militi fascisti, armi e materiali.
Grazie a tali azioni acquistano una loro autonomia operativa perché raramente nel corso del 1944 gli alleati effettuano aviolanci, il mezzo principale per avere veri rifornimenti.
E’ per questo motivo che le Fiamme Verdi, come ricorda Dario Morelli nel suo splendido libro “La montagna non dorme”, organizzano una loro missione nell’Italia liberata, realizzata dal capitano Sandro dall’ottobre 1944 al febbraio 1945, tra mille difficoltà e gravissimi pericoli – basti solo pensare al passaggio delle linee sull’Appenino, dove più forte imperversa in quel periodo lo scontro bellico ed anche le stragi dell’esercito invasore.
Grazie a tale missione, ai contatti stabiliti con gli alleati ai massimi livelli ed all’interesse crescente che questi ripongono nel movimento partigiano, iniziano ad arrivare aiuti.
Infatti quando Lionello Levi Sandri ritorna paracadutandosi il 13 febbraio 1945 tra i compagni di lotta al Mortirolo hanno inizio in modo sistematico gli aviolanci di armi e di cibo, tutti elementi di cui difettavano.
Il capitano Sandro prende subito contatto con Romolo Ragnoli, comandante della divisione Tito Speri, comunica le istruzioni degli alleati e viene informato della presenza incombente della divisione Tagliamento, sempre più attiva nei rastrellamenti.
E il 22 febbraio ha inizio la prima battaglia del Mortirolo con un attacco a tenaglia dei fascisti provenienti da Monno e da Guspessa; superiori per numero e per armamento: hanno anche i mortai. Ma tutti i loro attacchi sono respinti: essi subiscono forti perdite, morti e fughe precipitose e umilianti li accompagnano e il 27 febbraio sono costretti a ritirarsi.
Le Fiamme Verdi invece decidono di rimanere al Mortirolo perché è una posizione difficilmente avvicinabile, perché è un ottimo campo per ricevere i lanci e per le azioni e si preparano in vista di un probabile futuro attacco, ancora più organizzato e distruttivo del precedente.
Minano vari passaggi, sistemano le postazioni, preparano difese dai mortai. Il Mortirolo diventa così una fortezza. Il 2 aprile fanno saltare un ampio tratto della strada Edolo Tresenda e rendono impossibile il transito delle truppe tedesche provenienti da Milano, Lecco e Sondrio. La strada sarà infatti ripristinata solo alla fine della guerra.
La seconda battaglia del Mortirolo ha inizio il 10 aprile 1945 quando 2400 uomini costituiti da militi fascisti della Tagliamento, brigate nere e SS italiani attaccano sostenuti da potenti cannoni tedeschi.
Le cannonate tedesche sparate incessantemente e con efficacia per quattro giorni consecutivi hanno effetti pesanti sul morale dei partigiani: si parla di sganciarsi verso la Valtellina. La sera del 13 aprile il capitano Sandro chiama a rapporto comandanti, vice comandanti e commissari. Spiega la situazione e propone di restare. Ma chiede il voto di tutti e per appello nominale: tutti decidono all’unanimità di resistere ad oltranza.
Anche la natura in un caso viene in loro aiuto. La mattina del 14 aprile una nebbia impenetrabile permette ai fascisti di arrivare a poche decine di metri dalle postazioni partigiane sul Mortirolo ma un colpo di vento la dirada all’improvviso : i partigiani si trovano davanti i nemici: molti sono respinti o uccisi o rimangono gravemente feriti. Gli assalitori si danno alla fuga e scappano.
L’assedio però continua sempre più feroce: in queste zone si combatte anche oltre il 25 aprile quando a Milano libera sfilano tra ali di folla gli altri partigiani.
Si devono registrare le ultime rabbiose azioni su Monno da parte dei tedeschi in fuga, che solo il primo maggio finalmente se ne vanno verso il passo del Tonale, ma non riescono ad attuare quanto volevano con i sabotaggi , le distruzioni dei bacini montani, delle centrali elettriche e degli impianti. Ma uccidono ancora un partigiano: Bortolo Fioletti di Corteno, un ragazzo di diciannove anni.
Le battaglie del Mortirolo nelle quali un gruppo di 220 coraggiosi ha tenuto testa ed ha sconfitto un numero dieci volte più grande di nemici, coronano venti mesi di lotta partigiana nelle nostre valli e sono uno degli episodi più importanti e significativi di tutta la Resistenza italiana .
Sono il frutto dell’impegno civile della parte migliore di una comunità. Non chiusa in se stessa-erano presenti italiani di altre regioni- e stranieri come polacchi, russi, svizzeri e inglesi e americani. Senza l’aiuto fondamentale dei lanci americani non sarebbe stato possibile resistere a lungo: ma le Fiamme Verdi hanno resistito. Il motto di Mazzini “più che la schiavitù temo la libertà portata in dono” è scolpito nel loro cuore come la fierezza, la semplicità, il senso del dovere e dell’onore, il rispetto della parola data.
Le battaglie del Mortirolo e in generale la Resistenza della Valcamonica hanno avuto un ruolo importante e delicato da molti punti di vista. Quello strategico -militare innanzi tutto: la Resistenza italiana è stata un fenomeno di grande rilievo anche per la vittoria finale degli alleati.
Ma è stata anche un fatto politico e morale: senza il sacrificio di molti la situazione nel nostro Paese sarebbe stata solo quella di un paese sconfitto.
La Resistenza e la riconciliazione successiva in Europa sono state alla base dei tanti anni di pace che abbiamo conosciuto nel nostro continente in un mondo ancora lacerato da molti conflitti.
Oggi, tra paesi che si sono combattuti per secoli, c’è la pace e noi ci possiamo muovere liberamente all’interno dei paesi della Unione Europea.
Tempo fa, camminando in montagna al confine con l’Austria non ho trovato barriere o fili spinati. Sono entrata liberamente, anzi senza accorgermene, in Austria e sono stata accolta da un cortese “benvenuto” sul telefonino.
Sono tante le sfide che ci aspettano ancora, ma le dobbiamo affrontare con fiducia e spirito positivo.
Mi piacerebbe che i ragazzi del duemila venissero ancora al Mortirolo tutti gli anni e che fra trent’anni potessero ricordare qui il centesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale.
Da allora, dopo guerre e lotte, viviamo in pace in questa nostra Europa che rimane saldamente, anche nei momenti difficili come l’attuale, un faro di civiltà ed un esempio di democrazia per tutti i paesi.
Maria Carla Levi Sandri