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Bevilacqua, padre Giulio

Prete battagliero, padre Giulio Bevilacqua combatté già come ufficiale volontario degli alpini durante la prima guerra mondiale e guadagnò ben due medaglie di bronzo al V. M. Durante la seconda guerra mondiale, invece, decise di impegnare i suoi 59 anni d’età al fianco dei giovani partendo come cappellano militare della Marina, prima sulla nave-ospedale Arno e poi sull’incrociatore Doria e all’Accademia navale.

Nato nel 1881, padre Bevilacqua fu ordinato prete nel 1908, dopo essersi laureato con una tesi sulla legislazione operaia e aver condotto studi teologici.

Terminata la prima guerra mondiale, e dopo la prigionia nel campo di concentramento di Hart e nel castello di Horowice in Boemia, riprese la sua attività parocchiale divenendo ben presto un fiero oppositore del nascente fascismo. Assunse posizioni molto rigide nei confronti della dittatura e si trovò a polemizzare fortemente con Augusto Turati, leader del fascismo bresciano. In un articolo del 20 ottobre 1926 sul quotidiano Il cittadino bresciano, con il quale collaborava, sostenne che tra Chiesa e fascismi i motivi di dissidio e frattura fossero insanabili. Questa posizione provocò il sequestro del giornale e l’inizio di numerosi atti di violenza verso di lui e verso la Casa della Pace che lo costrinsero ad allontanarsi da Brescia per qualche tempo per poi finire in Vaticano dove rimase dal 1928 fino al 1932. In questo periodo visse in casa di mons. Montini, il futuro papa Paolo VI, con cui strinse una profonda amicizia.

Tornato nel 1932 alla sua Congregazione, prese a scrivere articoli sui periodici Humanitas, Studium e sulla rivista nazionale dei maestri Scuola Italiana Moderna, raccogliendo poi i suoi scritti in una serie di libri che diventeranno guida per laici e sacerdoti.

Nel 1940, quando l’Italia entrò in guerra, pur criticando la violenza e definendo la guerra “un’apostasia da Cristo”, decise di partire come cappellano militare, per stare coi giovani che andavano a morire sui fronti. Congedato nel 1943, tornò a Isola della Scala, ma dopo l’8 settembre fu costretto a imbarcarsi di nuovo verso Brindisi, dove s’erano rifugiati il re e il governo Badoglio. Celebrò una messa davanti all’alto comando e ai reali, pronunciando un commento al passo evangelico Beati coloro che piangono che non sarà gradito dalle autorità, così come non lo sarà la sua celebre affermazione secondo la quale «Le idee valgono per quello che costano e non per quello che rendono».

Alla fine della guerra ritornò a Brescia, dove svolse la sua vita all’insegna della predicazione, della pastorale liturgica e dell’instancabile opera di animazione della parrocchia di Sant’Antonio in Via Chiusure, nella periferia cittadina, dove si ferma per sedici anni preoccupandosi, come sempre, soprattutto dei più poveri. Per la sua esperienza pastorale venne chiamato a Roma nella Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II. Divenuto papa, il suo amico Montini non volle rinunciare alla sua collaborazione e, nel 1965, all’età di 84 anni, lo creò cardinale, titolo che egli accetta con umiltà, pur chiedendo di poter continuare a essere parroco fra la sua gente.

Morì a Brescia, nella sua parrocchia di via Chiusure, il 6 maggio 1965.