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Ottantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma

Ricordo del “Sabato Nero” e delle sue atroci conseguenze

Il 16 ottobre 1943 segna una data funesta nella storia italiana, quando le truppe naziste rastrellarono il Ghetto di Roma, catturando quasi tutti i suoi abitanti. Questo evento, avvenuto in un giorno di Shabbat durante la festività di Sukkot, rappresentò un passaggio drastico dalla persecuzione legale degli ebrei italiani alla loro effettiva eliminazione fisica. Nonostante i tentativi della comunità ebraica di placare i nazisti con un pesante tributo in oro, oltre mille persone furono brutalmente deportate ad Auschwitz-Birkenau, con solo 16 sopravvissuti. Questa tragedia rimane un simbolo doloroso delle sofferenze del popolo ebraico e delle crudeltà della guerra.

Oggi, 16 ottobre, ricorre l’80° Anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma perpetrato dai nazisti il 16 ottobre 1943. Per l’occasione, riprendiamo e condividiamo la riflessione pubblicata dal sito della Federazione Italiana Volontari della Libertà (alla quale è possibile giungere cliccando su questo link).

Si commemora oggi, 16 ottobre 2023, l’ottantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, il “sabato nero” degli ebrei romani, pianificato e compiuto dai nazisti al comando del colonnello Herbert Kappler, nel giorno del riposo settimanale ebraico, così da assicurare la cattura del maggior numero possibile di prigionieri di origine israelita. Lo Shabbat, in quel 16 ottobre 1943, cadeva inoltre nel terzo giorno di Sukkot (‘Capanne’), la festività che celebra l’avvenuto raccolto del frutto della terra e, al contempo, richiama alla perenne immanenza della precarietà umana ed ebraica.

Il 16 ottobre 1943, con la cattura della quasi totalità degli abitanti del Ghetto di Roma, rappresentò in forma plastica e collettiva il passaggio dalla persecuzione dei diritti degli ebrei italiani, sancito dalla promulgazione delle Leggi razziali del 1938, alla persecuzione delle loro vite posta in atto durante l’occupazione nazifascista.

Venti giorni prima, il 26 settembre, Kappler aveva preteso dai capi della comunità ebraica romana la consegna di 50 chili d’oro per garantirne l’incolumità: con molta fatica, l’ingente quantitativo del metallo prezioso era stato raccolto presso il Tempio e consegnato al comandante nazista, che l’aveva inviato a Berlino. Anche la Santa Sede si era proposta, in via ufficiosa, di mettere a disposizione i lingotti d’oro necessari al raggiungimento del pesantissimo tributo richiesto dai nazisti per scongiurare la deportazione. Lo sforzo della comunità ebraica permise di raggiungere l’enorme quantità d’oro richiesta.

Tuttavia, l’aver assecondato questo atto di vessazione nazista non servì a salvare gli ebrei romani e italiani dai rastrellamenti delle SS: venendo meno alla parola data, tra le 5:30 e il 14 di sabato 16 ottobre 1943, Kappler spedì 365 soldati nazisti delle SS e della Gestapo a rastrellare gli ebrei del Ghetto. Penetrati nel quartiere e passando casa per casa, i nazisti catturarono 1.259 persone: 1.052 adulti (363 uomini e ben 689 donne, alcune delle quali incinte) e 207 bambini, presi dalla strada o tolti a forza dalle loro abitazioni, situate principalmente tra la Via del Portico di Ottavia e le vie circostanti.

Tra i rastrellati, 1.023 furono ammassati alla stazione Tiburtina, caricati su 18 carri bestiame e deportati nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. 820 di loro non superarono la prima selezione e furono subito condotti alle camere a gas; gli altri – 154 uomini e 47 donne – furono avviati al lavoro forzato.

Dei 1.023 ebrei romani deportati dopo il rastrellamento, solo il 16 tornarono a casa: 15 uomini e una sola donna. Nessuno dei 207 bambini sopravvisse.

Non possiamo dimenticare, non vogliamo dimenticare. Il popolo ebraico ha sofferto una tragedia atroce che ottant’anni fa avvenne sotto gli occhi silenti e rassegnati di una massa di italiani assuefatta alla violenza della guerra e alle sopraffazioni naziste e fasciste. Un popolo che soffre anche oggi, schiacciato e incompreso nel suo diritto a esistere e a convivere in pace con gli altri popoli.
Ieri come oggi, valga e sia impresso nelle nostre menti l’ammonimento che apre il capolavoro di Primo Levi, Se questo è un uomo (I ed. De Silva, Torino 1947, poi Einaudi, Torino 1958, più volte ristampato):

SHEMÀ

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:

considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

                                      10 gennaio 1946

Un quadro del pittore Aldo Gay, testimone oculare, scampato al rastrellamento del Ghetto di Roma
Un quadro del pittore Aldo Gay, testimone oculare, scampato al rastrellamento del Ghetto di Roma