Chiamato alle armi nel 1941, Mario Bettinzoli partì per Civitavecchia e morì tre anni dopo da partigiano.
L’8 settembre del ‘43 venne fatto prigioniero a Roma mentre resisteva ai tedeschi insieme alla sua batteria. Fuggito, venne condannato a morte in contumacia dal tribunale di guerra germanico.
La decisione di farsi partigiano maturò poco dopo a Brescia, una volta venuto in contatto col movimento resistenziale e dopo un colloquio con padre Carlo Manziana alla Casa della Pace. Decise di impegnarsi nella fabbricazione di detonatori per dinamite che un compagno gli portava da Riva del Garda.
Poco dopo assunse, insieme a Perlasca, il comando dei gruppi della Valle Sabbia. Fu abile nel mantenere i contatti tra i vari gruppi e con il Comando di Brescia, nel procurare armi, vettovaglie, curare il servizio informazioni e organizzare espatri di ex prigionieri alleati.
Partito per Brescia il 18 gennaio 1944 insieme a Perlasca, venne arrestato a casa sua nel primo pomeriggio. Interrogatori e torture per tre giorni finché non venne condotto in carcere e, il 14 febbraio, condannato a morte dal tribunale militare insieme al compagno Perlasca. A difenderlo ci fu Pietro Bulloni. Ma né la richiesta di grazia né quella di commutazione della pena sortirono effetto: fu condannato a morte e fucilato insieme a Perlasca il 24 febbraio 1944 nel maneggio della caserma Randaccio del 77° Rgt. Fanteria.