Quando, la mattina del 5 febbraio 1944, Astolfo Lunardi viene processato a Brescia, i fascisti decidono di impiegare un eccezionale schieramento di militi sulla cui divisa spicca un teschio. Via San Martino della Battaglia, davanti al palazzo della Corte d’Appello, è completamente bloccata e, dai tetti, le mitragliatrici puntano la strada.
Lunardi, 53 anni e litografo, è accusato di essere nientemeno che il capo del settore sovversivo di Brescia. Ma il partigiano, durante l’interrogatorio del Pubblico Ministero, risponde con assoluta pacatezza di essersi solamente proposto un patriottico piano di difesa e di ripresa nazionale.
Astolfo Lunardi è nato a Livorno nel 1891. A vent’anni si trasferisce sul lago di Garda per lavorare in una ditta del luogo. Scoppiata la Prima guerra mondiale, si ritrova a prestare servizio a Padova, presso il Comando supremo, svolgendo quella che era la sua professione: il litografo. Consegue anche una medaglia d’argento, nel 1917, perché «alla testa di un plotone di arditi assalì gli austriaci, ne pugnalò, ne catturò e strappò loro una mitragliatrice».
Nel 1927 emigra in Francia, per lavorare a Cernai, ma, dopo neanche pochi mesi, ritorna in Italia e si stabilisce a Brescia, dove apre uno studio di disegnatore e cartellonista pubblicitario. È sempre impegnato in numerose attività: l’Unione ex-allievi salesiani, il Comitato dei pellegrinaggi, l’Unitalsi, la presidenza degli uomini cattolici della parrocchia di S. Lorenzo e della sezione Arditi.
Dopo l’8 settembre si riversa completamente nella Resistenza, assumendo l’incarico dell’organizzazione del movimento in città. In breve la sua casa diventa un vero proprio quartier generale dei partigiani. È qui che tutti i giovani vengono a diventare ribelli e a prendere ordini e direttive. Lo scopo di Lunardi è chiamare un gran numero di collaboratori e riunirli in un’organizzazione chiamata Guardia nazionale. Organizzazione che, però, non verrà mai costituita.
Già il 27 novembre si ritrova a essere ricercato e a cercare rifugio in giro. In un primo momento si nasconde a casa di amici a Milano; poi inizia a spostarsi in piccoli centri del Cremonese e del Mantovano. Non tornerà mai più a casa sua.
Ma la sua attività di partigiano, in ogni caso, non viene mai meno. In novembre, infatti, partecipa alla riunione con la quale nascono le Fiamme Verdi.
Il 6 gennaio del 1944 è arrestato dalla squadra politica della Questura perché il suo nome si trova in un elenco sequestrato a Peppino Pelosi. Viene incarcerato con l’accusa di «organizzazione di bande armate per commettere delitti di cui all’art. 347 C. P. e per svolgere azioni di guerriglia contro le Forze Armate dello Stato».
Il processo si conclude con la condanna a morte di Lunardi e del giovane Ermanno Margheriti, suo braccio destro. A difenderli, l’avv. Pietro Bulloni.
I due vengono fucilati il 6 febbraio al Poligono di tiro di Mompiano. Al suo nome verrà subito dopo intitolata una Divisione delle Fiamme Verdi.