di David Sassoli, Vicepresidente del Parlamento Europeo
(pubblicato su huffingtonpost.it)
In questi giorni di gennaio avrebbe compiuto cento anni. E sempre in questi giorni, a 29 anni, muore nel campo di prigionia bavarese di Hersbruck. Teresio Olivelli, giovanissimo professore universitario, ufficiale degli alpini sul fronte russo, intellettuale, aveva scelto la resistenza e la guerra partigiana. La sua è la storia di tanti giovani che fino all’entrata dell’Italia in guerra avevano conosciuto soltanto il Fascismo. Non c’era stato un prima per loro. Un antifascismo nato “dentro il fascismo”, come quello del vice federale Davide Lajolo, profondamente diverso da quello degli antifascisti della “resistenza lunga”, come l’ha definita Max Salvadori.
Scuola fascista, università fascista, patti Lateranensi, una certa idea di patria e famiglia erano stati anche per i giovani cattolici italiani gli ingredienti della loro formazione. Dentro il Fascismo, dunque, ma con uno spirito religioso molto accentuato che alla lunga preverrà imponendo scelte radicali. Ed è proprio nella profondità del carattere religioso che la miscela diventerà a suo modo esplosiva, consentendo alla fine un giudizio netto su un regime “non riformabile”.
Parliamo di un giovanissimo cattolico che dopo la campagna di Russia sceglie la montagna e partecipa alle attività delle formazioni partigiane del nord Italia, che viene arrestato a Milano e transita per Fossoli per poi essere trasferito in diversi campi di prigionia prima di arrivare in Germania dove morirà. Che diventa un simbolo per aver scritto la Preghiera del Ribelle, un vero cult per i giovani partigiani cattolici:
Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi ti preghiamo: sia in noi la pace che tu solo sai dare. Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.
Una lunga preghiera che rimette in ordine valori dispersi nel corso del ventennio e consentirà di dare carattere a scelte di fondo. Quelle a cui un cattolico si affida per non sentirsi appagato dalla politica e dal potere, per non lasciarsi ingannare da falsi miti, trascinare nel cono d’ombra delle convenienze e non rinunciare alla capacità di scandalizzarsi.
Ribelli, così ci chiamano, così siamo, così vogliamo essere, ma la nostra è anzitutto una rivolta morale. È rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione dell’esistenza. Non vi sono liberatori, ci sono solo uomini che si liberano.
Scrive nel 1944 sul Ribelle, giornale clandestino antifascista. Il tono è gobettiano, ma il mondo a cui si rivolge è quello della titubante chiesa italiana che da lì a poco, irreversibilmente, sposerà con i radiomessaggi di Pio XII il modello democratico. Scrive il professor Vittorio E. Giuntella: “La forza della ribellione, di cui si parla nella “preghiera” scritta da Teresio Olivelli, scaturisce dall’inconciliabilità del cristiano con i miti del capo, dello Stato e della razza, e si traduce nella lotta fianco a fianco, abbandonando la tradizionale diffidenza, con gli altri cittadini, per uno scopo comune a tutti”.
Olivelli muore da cristiano, cercando di aiutare un prigioniero ucraino picchiato da un aguzzino. Un forte calcio al ventre lo uccide neppure trentenne, il 17 gennaio 1945, a pochi mesi dalla fine della guerra. Anche in questo gesto, risuonano come autobiografiche le parole della sua preghiera:
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al tuo innocente e a quello dei nostri morti, a crescere al mondo giustizia e carità.
Per credere nella libertà, sembra dirci Olivelli, non dobbiamo smettere di credere nell’uomo.